di Simone Lanza
Del libro di Jonathan Haidt, Generazione ansiosa (Rizzoli 2024) non si può che consigliarne assolutamente la lettura a tutti i genitori dei patti e a chi avesse dei dubbi. L’autore analizza i dati di molti Paesi rispetto all’aumento dell’ansia, della depressione, dei suicidi, della diminuzione del sonno e della frequenza dei contatti degli adolescenti negli ultimi anni evidenziando come da quando smartphone e social network si sono diffusi tra loro, questi tassi siano sensibilmente aumentati in tutto il mondo. Le curve salgono dal 2012, anno in cui Instagram è stato acquisito da Facebook. Sono dati noti da tempo a chi lavora con gli adolescenti, già evidenziati da Jean Twenge in Usa e altri studiosi/e nel resto del mondo.
Haidt non solo li presenta rigorosamente ma ne dà anche un’ interpretazione che finalmente fa discutere perché affronta il problema in modo radicale (ovvero cercando di andare alla radice). A tutto ciò l’autore aggiunge i dati di aumento della dipendenza e la frammentazione dell’attenzione.
La Generazione Z è la prima generazione che affronta un esperimento inedito nella storia umana: i genitori troppo protettivi stanno privando questa generazione di molte esperienze del mondo reale e così è la prima generazione che sta sperimentando un passaggio da un’infanzia basata sul gioco a un’infanzia basata sul telefonino, e più in generale su device connessi a internet. Benché la tesi possa essere discutibile abbiamo però finalmente qualcuno che ha avuto lo spazio e il modo di porre il problema.
Questa iperconnessione degli adolescenti è salutare? In che modo si collega con l’aumento dell’ansia e dell’isolamento sociale? Il libro non rinuncia a mostrare una mole di dati considerevole. I detrattori sostengono che si tratti di pure correlazioni e che non bastano tanti dati per provare un nesso di causalità. La forza del libro consiste invece proprio nel provare a spiegare i nudi fatti con delle relazioni causali e una interpretazione globale. Continuare a sostenere che la realtà è complessa e l’interpretazione impossibile aiuta solo a sottovalutare il fenomeno dell’iperconnessione e dell’isolamento adolescenziale.
Le basi pedagogiche delle argomentazioni non sono così ampie come i dati sociali e psicologici sull’adolescenza negli ultimi vent’anni, ma sono tuttavia ben solide. In ambito pedagogico il riferimento è il libro di Peter Gray “Lasciateli giocare”, mentre in ambito sociologico di fatto sono riprese senza menzionarle le tesi di Neil Postman sul declino dell’esperienza infantile dovute alla diffusione dello schermo televisivo e la trasformazione del gioco infantile in mero divertimento.
Si consigliano queste recensioni apparse sulle testate nazionali:
Stefania Garassini su Avvenire
Enrico Reatini su Il Fatto Quotidiano
Federico Rampini sul Corriere della Sera
Giulia Cimpanelli su Repubblica